Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 16 aprile 2020, si è espresso in merito ad un’istanza di sospensione dei termini per l’esecuzione di un piano del consumatore omologato (in data 28 maggio 2019) a seguito della grave situazione emergenziale causata dalla diffusione del covid-19, che ha posto i debitori nelle condizioni di non poter proseguire l’esecuzione del piano secondo le modalità e le scadenze ivi indicate. Entrando nel merito dei fatti di causa, si premette che tale piano del consumatore si fonda su una proposta di dilazione del credito residuo vantato da una banca per l’acquisto di un’immobile destinato ad abitazione principale dei debitori, con la previsione di una rateazione del pagamento. La sospensione richiesta dai debitori unitamente all’OCC designato in qualità di gestore della crisi da sovraindebitamento ha ad oggetto il periodo dal 15.3.2020 al 15.09.2020. Nell’esame di tale istanza, il Tribunale ha osservato che: Ciò premesso, il Giudice ha ritenuto fondata e meritevole di accoglimento tale istanza, adducendo le seguenti motivazioni. In primis, il Giudice ha affermato che: “l’art 13 comma 4 ter della legge nr 3/2019 prevede la possibilità per il debitore o il consumatore di modificare l’accordo o il piano qualora la loro esecuzione sia divenuta impossibile per ragioni a loro non imputabili. Tale norma ha per presupposto infatti che il piano sia già stato omologato e che nella sua fase esecutiva diventi impossibile il suo esatto adempimento per cause non imputabili al debitore, accordando, in tale caso allo stesso la possibilità di modificare la proposta su cui si fondano il piano e l’accordo, con l’ausilio dell’Organismo di composizione della crisi (OCC). Ne consegue che i debitori, nei confronti dei quali sia già intervenuta la omologazione di un piano o di un accordo, possono rimodulare le modalità e le tempistiche della esecuzione avvalendosi dell’ausilio dell’OCC cui la stessa legge nr 3/2012 attribuisce, in via generale, l’obbligo di risolvere le eventuali difficoltà insorte nella esecuzione dell’accordo e di vigilare sull’esatto adempimento dell’accordo e del piano. In siffatta ipotesi, appare evidente che è rimesso al giudice valutare la sopravvenuta esistenza di una causa non imputabile al debitore che non renda possibile l’esatto adempimento.” Valutando il caso concreto, il Giudice ha affermato che: “deve ritenersi che la gravissima crisi sociale, sanitaria ed economica provocata da Covid-19 pone senz’altro il problema della impossibilità di adempiere le obbligazioni contrattuali, non essendo improbabile che le parti contrattuali si trovino nella impossibilità di adempiere le proprie obbligazioni alla luce delle rigide restrizioni imposte dall’autorità governativa (impossibilità di uscire di casa se non nei casi di stretta e comprovata necessità, chiusura di molte attività commerciali o anche solo alla luce della necessità di esporsi il meno possibile al contagio del virus). In questa prospettiva, deve ritenersi che l’emergenza epidemiologica da covid-19 costituisce causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione nella disciplina delle obbligazioni atteso che tra i casi in cui potrebbe essere invocabile l’impossibilità sopravvenuta della prestazione rientrerebbero gli ordini ed i divieti posti in essere dalla autorità amministrativa, cd factum principis. Invero, si tratta di disposizioni emanate a salvaguardia di interessi generali, come la protezione della salute pubblica, che, imponendo divieti e restrizioni, rendono di fatto impossibile l’adempimento di una obbligazione, a prescindere dal volere di chi si sia impegnato contrattualmente a farlo.” La sentenza approfondisce altresì l’inadempimento sotto il profilo civilistico, osservando che: “nel nostro ordinamento, l’inadempimento contrattuale e la responsabilità del debitore vanno valutati alla luce dell’art 1218 c.c., secondo il quale “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile. L’art 1218 è infatti strutturato in modo tale da porre a carico del debitore una presunzione di colpa ogni volta in cui ci sia un inadempimento. Il debitore per vincere questa presunzione ed evitare di dover rispondere del mancato rispetto delle obbligazioni che ha assunto tramite il contratto, deve dare prova di avere eseguito correttamente la prestazione oppure dimostrare che l’inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile, ossia un evento esterno al debitore, che questi, sebbene abbia posto in essere tutti gli sforzi necessari, non è riuscito ad evitare. I provvedimenti legislativi dettati da interessi generali e di ordine pubblico, che rendano impossibile la prestazione indipendentemente dal comportamento dell’obbligato, come quelli di recente emanazione, costituiscono infatti un’esimente della responsabilità del debitore. Nella fattispecie in esame, ogni dubbio sulla applicabilità dei principi generali sulla responsabilità del debitore per l’inadempimento o ritardo sembrerebbe risolto dall’art 91 d.l. 17 marzo 2020 nr 18 che così dispone <<all’art 3 del decreto-legge 23.2.2020 nr 6 convertito con modificazioni dalla legge 5.3.2020 nr 13, dopo il comma 6 è inserito il seguente “6 bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini della esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt 1218 c.c. e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati od omessi adempimenti>>. Sebbene tale disposizione sia dettata solo per i contratti pubblici, l’eadem ratio imporrebbe di estendere il principio a tutti i contratti, indipendentemente dall’oggetto e dalla natura dei contraenti. Sono gli stessi articoli 1218 e 1223 c.c. che, letti combinatamente, escludono responsabilità e risarcimento quando l’inadempimento della obbligazione o il ritardo della sua prestazione dipendano da causa non imputabile al debitore e tale è appunto, indubitabilmente, il rispetto delle misure di contenimento.” Il Giudice arriva quindi ad affermare che, qualora sopraggiunga una causa non imputabile al debitore che non rende possibile l’esatto adempimento, il Giudice delegato possa valutare il profilo temporale dell’adempimento senza la necessità di una nuova udienza con i creditori o qualunque altro interessato che possa sollevare contestazione, anche alla luce della ratio che ispira l’insieme delle norme di cui si compone il d.l. “Cura Italia”. In tale decreto, infatti: “il legislatore, riconosce la possibilità di rivolgere direttamente istanze al Tribunale se motivate con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto della emergenza epidemiologica Covid-19 così facendo entrare nel diritto della crisi di impresa come rilevante, tipizzandolo, il fatto sopravvenuto non imputabile ad una delle parti coinvolte nella esecuzione degli accordi e nelle procedure di regolazione della crisi e della insolvenza”. Infatti, secondo il Giudice, la disciplina relativa alla moratoria fino a sei mesi, prevista dall’art. 9, comma 3, del d.l. “Cura Italia”, secondo una modifica unilaterale e previo parere del commissario va ritenuta estensibile ai piani del consumatore tenuto conto della ratio sottesa al decreto richiamato che è quella di sostenere il sistema da una spaventosa crisi di liquidità; tale sforzo rischierebbe di essere vanificato in mancanza della possibilità di ridimensionare i debiti già contratti da chi è in difficoltà apportando una modifica unilaterale del termine di adempimento, intervenendo sui debiti pregressi , sospendendone l’esazione. La sentenza prosegue affermando che: “sotto il medesimo profilo va rilevato che l’esigenza di concedere ai debitori la possibilità di apportare celermente modifiche ai piani è funzionale a quella di semplificazione richiesta dalla attuale fase emergenziale nella gestione dei procedimenti pendenti e futuri : con riferimento agli accordi di composizione della crisi, l’avvio di un ulteriore iter finalizzato al raggiungimento di un nuovo accordo coi creditori, rischierebbe di dilatarne eccessivamente la durata e tanto anche in considerazione dei nuovi carichi di lavoro che ricadranno sugli uffici giudiziari a seguito delle sospensioni delle udienza , dei termini, delle attività”. Nella sentenza viene evidenziato che la modifica unilaterale trova la sua ratio altresì nel principio di buona fede contrattuale, previsto anche nel codice della crisi, laddove all’art 4 rubricato “doveri delle parti” si disciplina l’obbligo del comportamento del debitore e del creditore secondo buona fede e correttezza e secondo il dovere di leale collaborazione tra le parti coinvolte nelle procedure di composizione della crisi di impresa e nella loro esecuzione. Per tali ragioni, secondo il Giudice, appare evidente la giustificazione della mancata partecipazione del ceto creditorio nel processo in merito alla decisione sulla sospensione, compensata dal parere espresso dall’OCC. In conclusione, il Giudice afferma che: “in definitiva e alla stregua di quanto sopra argomentato, deve ritenersi che il debitore, con l’ausilio dell’OCC possa chiedere al Giudice in via telematica la sospensione della esecuzione dell’accordo o del piano omologato, ricorrendo una ipotesi di impossibilità sopravvenuta all’adempimento derivante da ragione a lui non imputabile. Non può trovare, invero, prevalenza la disposizione di cui all’art 14 bis, comma II lett B) che riconosce ai creditori di dichiarare cessati gli effetti del piano del consumatore omologato nel caso in cui l’esecuzione del piano diviene impossibile anche per fatti non imputabili al debitore. Deve infatti ritenersi che il rapporto tra art 13 comma IV ter ed art 14 bis, comma II lett b) va inteso nel senso che prevale la volontà del debitore di chiedere la modifica della proposta del piano rispetto a quella dei creditori di ottenere la cessazione degli effetti della omologazione del piano del consumatore. Va considerato che il piano del consumatore è sottoposto ad un controllo giudiziale sia nella fase di omologazione che in quella di esecuzione: la valutazione circa la fattibilità del piano e la meritevolezza dello stesso va effettuata anche nella sede in cui il giudice è chiamato a decidere sulla istanza del debitore per ottenere la modifica del piano ex art 13 comma IV ter. Questa considerazione appare tanto più fondata in considerazione del fatto che nella fase di esecuzione il requisito della meritevolezza viene in rilievo sul presupposto della non imputabilità al debitore della causa che non rende possibile l’esatto adempimento e quello della fattibilità assume rilievo considerato che se venisse richiesto l’immediato adempimento, il piano non sarebbe più fattibile”.