Rent to buy - Risoluzione - Ramo d'azienda

2 Settembre 2021


Il rent to buy è una tipologia di contratto inserita nel nostro ordinamento dal Decreto “Sblocca Italia” (D.L. 133/2014 convertito in Legge 164/2014), con cui il proprietario/concedente consegna fin da subito il bene immobile al conduttore/futuro acquirente, il quale paga il canone; dopo un periodo di tempo fissato nello stesso contratto, il conduttore può decidere se acquistare il bene, detraendo dal prezzo una parte dei canoni già pagati.

In merito alla possibilità di recesso di tale contratto in sede fallimentare, il sesto comma dell’articolo 23 della D.L. 133/2014 prevede che “in caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l’applicazione dell’articolo 67, terzo comma, lettera c), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni. In caso di fallimento del conduttore, si applica l’articolo 72 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni; se il curatore si scioglie dal contratto, si applicano le disposizioni di cui al comma 5”.

La sentenza n. 8064 del Tribunale di Catanzaro del 5 dicembre 2019 si esprime in merito alla legittimità o meno del diritto di recesso esercitato dal curatore inerente al contratto di concessione del godimento di ramo d’azienda con diritto d’acquisto tra un Sas, parte concedente, ed una Srl, parte conduttrice.

Secondo la reclamante, l'applicabilità alla figura negoziale in esame della disciplina normativa dettata dal DL 133/2014 per il cd. "rent to buy", ed in specie dell’art. 23, comma 6, DL citato, andrebbe interpretata nel senso di escludere la possibilità del recesso del curatore in caso di fallimento del concedente (prevista dall'art. 79 L.F. per la diversa ipotesi del contratto di affitto d'azienda), e dunque della prosecuzione automatica del contratto, salva la proponibilità di un'azione revocatoria, che nel caso di specie però non è stata proposta.

La Curatela del Fallimento ha asserito innanzitutto la non estensibilità al contratto in discorso, avente ad oggetto la concessione in godimento di un ramo d'azienda in funzione della successiva alienazione, della disciplina prevista dall'art. 23 DL 133/2014 per il cd. rent to buy, che ha ad oggetto unicamente il godimento in funzione della successiva alienazione di beni immobili. In secondo luogo, la reclamata ha sostenuto che la norma appena citata contemplerebbe comunque la possibilità per il curatore di sciogliersi dal contratto. Pertanto, ha chiesto il rigetto del reclamo, ribadendo la legittimità e l'opportunità della scelta di recedere dal contratto de quo.

In primo luogo i giudici di merito hanno affermato, in relazione all’ammissibilità di un contratto di rent to buy avente ad oggetto un complesso aziendale, che: “la norma non sembra limiti la conclusione del contratto di rent to buy avente ad oggetto un'azienda, sia questa comprensiva o meno di beni immobili e/o diritti reali su immobili. Infatti, come pure evidenziato in dottrina, elementi essenziali del contratto di rent to buy sono la concessione in godimento, il diritto per il conduttore di acquistare il bene oggetto del rapporto contrattuale, il pagamento di un canone da imputare in tutto o in parte a corrispettivo del trasferimento del bene, il rinvio alle norme di cui agli articoli da 1002 a 1007 e 1012 e 1013 del c.c. ed ancora la disciplina particolare per i casi di risoluzione ed inadempimento delle parti, mentre non sembra si possa affermare che il bene "immobile", come considerato nello schema normativo, possa assurgere ad elemento unico, essenziale e determinante il contratto in esame, né penetrare nella sua causa in maniera determinante. … omissis … Da quanto detto discende, quindi, la possibilità di prevedere un contratto di rent to buy tipico avente ad oggetto un complesso aziendale, comprensivo o meno dì beni immobili e/o diritti reali immobiliari, con la peculiarità che, ove l'azienda dovesse ricomprendere beni immobili troverà piena applicazione la normativa di cui al citato art. 23 del decreto legge 133/2014 e dunque anche, per quanto qui interessa, il comma 6, primo periodo, che dispone espressamente che "In caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l'applicazione dell'articolo 67, comma 3, lettera c), del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni".

In secondo luogo, con riferimento alla legittimità o meno del diritto di recesso esercitato dal curatore, nella sentenza viene affermato che: “deve ritenersi che al contratto in discorso si applichi pienamente la normativa di cui al citato art. 23 DL 133/2014, compreso il sesto comma, secondo cui il fallimento del concedente non determina, di per sé, la cessazione del contratto, contratto che pertanto prosegue, vincolando entrambe le parti.

Non trova applicazione, quindi, nel caso di specie la disposizione dell'art. 72 L.F. che consente al curatore di scegliere (con l'autorizzazione del Comitato dei Creditori) tra il subentrare nel contratto o lo sciogliersi dal medesimo. Il contratto, pertanto, prosegue, senza che il curatore possa opporsi.

Infine, in merito ai presupposti necessari per la revocatoria di tale contratto, la sentenza ha affermato che: “Il curatore fallimentare per non soggiacere al contratto (e quindi recuperare la disponibilità materiale dell'immobile, sciogliendosi dall'obbligo di cessione al termine del periodo della concessione in godimento) dovrà agire in revocatoria, sempreché ne ricorrano i presupposti; in particolare ai sensi dell'art. 67, co. 1, numero 1), L.F., il contratto potrà essere revocato, se compiuto nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, se le prestazioni eseguite dal concedente o le obbligazioni dallo stesso assunte sorpassino di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso, e sempreché il conduttore non riesca a provare che non conosceva lo stato di insolvenza del concedente.”

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