La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza del 9 luglio 2020, si è espressa in merito alla revocabilità del decreto di omologa di un concordato preventivo conseguente all'ammissione alla procedura in violazione del disposto dell’art. 161, nono comma, l.fall. Tale comma dispone infatti che il ricorso ex art. 161, sesto comma, l.fall. per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo sia “inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l'ammissione alla procedura di concordato preventivo o l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti”. Nel caso di specie, il ricorrente aveva depositato presso il tribunale di Aosta un primo ricorso ex art. 161, sesto comma, l.fall., il quale fu dichiarato inammissibile, stante il mancato deposito di uno dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi richiesti ai fini dell’ammissibilità del ricorso. Il ricorrente depositò quindi, successivamente, un secondo ricorso, sempre ex art. 161, sesto comma, l.fall., a seguito del quale il tribunale di Aosta, ai sensi dell’art. 161, sesto e settimo comma, l.fall., emise decreto con cui concesse al ricorrente termine di sessanta giorni per il deposito del piano e della proposta. Tra le motivazioni del decreto, il tribunale ritenne che “la precedente dichiarazione di inammissibilità di analoga istanza di pre-concordato non osta all'ammissione della presente istanza, atteso che il disposto dell’ultimo periodo dell’art. 161 comma 7 LF riguarda la diversa ipotesi dell’avvenuta presentazione di un piano di concordato (e non di semplice istanza di pre-concordato, come nel caso in esame) successivamente dichiarato inammissibile”. La Corte d’Appello di Torino, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale (ed a prescindere dall'erroneo riferimento, contenuto nel provvedimento impugnato, al settimo piuttosto che al nono comma dell’art. 161), ha chiarito che “l’inammissibilità del secondo ricorso per concordato in bianco è stabilita proprio nel caso di precedente ricorso sempre ex art. 161, sesto comma, L.F., depositato nei due anni precedenti e dichiarato inammissibile. La fattispecie descritta dalla norma è perfettamente corrispondente a quella verificatasi nel caso di specie e la diversa interpretazione che della norma stessa ha dato il giudice di primo grado non può essere accolta, in quanto contraria al suo chiaro tenore letterale”. Quanto alla difesa del Commissario giudiziale, questa aveva sostenuto che “la previsione dell’art. 161, nono comma, della L.F. è volta ad evitare l’abuso dello strumento concordatario, finalizzato a paralizzare eventuali esecuzioni in corso o di imminente promovimento ovvero avente un oggettivo proposito dilatorio; che, tuttavia, tale ipotesi non è verificata nel caso di specie, in cui la prima domanda di concordato è stata dichiarata inammissibile senza nemmeno la concessione dei termini per il deposito del piano, sicché l’intendimento della norma non sarebbe stato violato”. In merito a questo punto, la Corte d’Appello ha affermato che “l’assunto non è esatto perché, a norma dell’art. 168 L.F., il divieto di promovimento o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore decorre dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e non da quella in cui il tribunale, ritenuto il ricorso ammissibile, fissa il termine per la presentazione del piano e della proposta: anche nel caso di specie, pertanto, ancorché per pochi giorni l’imprenditore ha potuto beneficiare del c.d. ombrello protettivo previsto dalla norma”. “In ogni caso – prosegue la sentenza – l’art. 161, nono comma, L.F. non lascia spazio al giudicante per valutazioni discrezionali di ammissibilità del secondo ricorso fondate sulla durata, più o meno lunga, intercorsa tra il deposito del ricorso precedente ed il decreto con cui lo stesso è stato dichiarato inammissibile. L’interpretazione avanzata dalla difesa del Commissario giudiziale introdurrebbe margini di opinabilità nell'applicazione del disposto normativo che il tenore dello stesso obiettamente preclude, in quanto stabilisce una praesumptio juris et de jure di abuso del diritto nel caso di presentazione di un secondo ricorso per concordato in bianco entro i due anni dal deposito del primo, poi dichiarato inammissibile. Né l’interpretazione letterale, qui sostenuta, potrebbe considerarsi ingiustamente penalizzante per l’imprenditore: quest’ultimo infatti, a seguito della declaratoria d’inammissibilità della proposta di pre-concordato, può sempre presentare, in ogni tempo, altra proposta ex art. 161, primo e secondo comma, L.F.”. La difesa del Commissario giudiziale aveva sostenuto altresì che il successivo deposito della domanda di concordato “piena” e la conseguente ammissione della ricorrente alla procedura di concordato preventivo avrebbe comunque sanato eventuali criticità relative all'ammissibilità del deposito della seconda domanda di concordato “in bianco”. Anche su quest’ultimo punto la Corte d’Appello, in disaccordo con il Commissario giudiziale, ha sostenuto che “la tesi della sanatoria sarebbe sostenibile se la legge avesse consentito l’impugnazione del decreto di concessione dei termini per la presentazione del concordato pieno, ai sensi dell’art. 161, sesto comma, L.F., ovvero se avesse dichiarato impugnabile il successivo decreto di ammissione al concordato – che, invece, è espressamente considerato non soggetto a reclamo dall'art. 163 L.F. In realtà in materia di concordato preventivo la legge non prevede la possibilità di impugnare tutti i provvedimenti emessi nel corso del procedimento, come invece è previsto, ad esempio, in materia di opposizione agli atti esecutivi dall'art. 617 c.p.c., sicché il primo provvedimento impugnabile dal soggetto interessato per fare valere la violazione dell’art. 161, nono comma, L.F. è proprio il decreto di omologa, come avvenuto nel caso di specie”. Quanto, infine, alla sorta di sanatoria di fatto sostenuta dal Commissario giudiziale a seguito della presentazione della domanda di concordato “piena”, la Corte d’Appello ha affermato che tale soluzione “consentirebbe all'imprenditore di beneficiare dell’ombrello protettivo oltre i casi previsti dalla norma e contro il chiaro disposto della stessa”. La Corte d’Appello arriva quindi alla conclusione che “il decreto di omologa sia invalido in quanto fondato su un precedente provvedimento di concessione dei termini per la presentazione del concordato pieno, a norma dell’art. 161, sesto comma, L.F., emesso fuori dei casi previsti dalla legge e contro l’espressa previsione dell’art. 161, nono comma, L.F.” revocando, per tali motivi, il decreto di ammissione del concordato.