La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18837 dell’11 settembre 2020, si è espressa in merito alla possibilità di detrazione dell’IVA in capo ad un soggetto committente in concordato preventivo, già omologato, relativa a fatture di acquisto di professionisti il cui credito di rivalsa era stato soddisfatto in ambito concordatario in misura falcidiata. Nel caso di specie, infatti, l’Agenzia delle Entrate aveva riconosciuto solo parzialmente alla società ricorrente il credito IVA, ossia in proporzione a quanto la procedura concorsuale aveva riversato a titolo di rivalsa ai propri fornitori, paventando un salto di imposta nel caso in cui i creditori avessero emesso le note di variazione per l’imposta non soddisfatta dal committente in concordato preventivo. Nella sentenza oggetto di analisi, la Corte di Cassazione ha ripercorso la giurisprudenza eurounitaria in merito alla sussistenza del diritto del committente ad esercitare integralmente la detrazione IVA ove siano mutate le condizioni in base alle quali il diritto alla detrazione è sorto, per effetto del definitivo mancato integrale soddisfacimento del credito di rivalsa del prestatore, nonché in quale momento debbano ritenersi mutate le condizioni per l’esercizio della detrazione. Viene dapprima citato l’art. 11, lett. A par. 1, lett. a) Dir. 77/388/CEE, ratione temporis applicabile (la cui formulazione è trasfusa nell'art. 73 Dir. 2006/112/CE) che dispone che “la base imponibile IVA si determina in base a «tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo»”, e la successiva lett. C, che disciplina la successiva modifica della base imponibile per il prestatore in caso di “non pagamento totale o parziale” dopo che l’operazione è stata effettuata. In caso di mutamento della base imponibile, il successivo art. 20, par. 1 Sesta Direttiva IVA (ora artt. 184 e 185 Dir. 2006/112/CE) disciplina le conseguenze in capo al committente, consistenti nella “rettifica della detrazione all'atto in cui «sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo» delle detrazioni”. Prosegue la sentenza affermando che tali disposizioni sono interpretate in senso omologo dalla Corte di Giustizia, che ha statuito che l’art. 185, par. 1 Dir. 2006/112/CE va interpretato nel senso che “l’omologazione definitiva di un concordato preventivo, in quanto evento che comporta la riduzione delle somme pagate dal debitore committente ai propri fornitori a titolo di IVA, costituisce causa al ricorrere della quale è necessario rettificare l’ammontare dell’IVA detratta; l’omologazione del concordato preventivo costituisce, pertanto, mutamento degli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni (Corte di Giustizia UE, 22 febbraio 2018, T-2, C-396/16, punti 24, 27-30)”. Sempre la Corte dell’Unione ha precisato che “specularmente all'insorgere del diritto per il fornitore a ridurre la base imponibile – ove il committente non riceva il corrispettivo della prestazione a termini dell’art. 90 Dir. 2006/112/CE – l’art. 185 Dir. 2006/112/CE comporta la rettifica delle detrazioni inizialmente operate dall'altra parte della stessa operazione, soggiungendo che «tali due articoli rappresentano le due facce di una stessa operazione economica e dovrebbero essere interpretate in modo coerente» (Corte di Giustizia UE, T-2, cit., punto 35)”. Da ciò ne consegue che, secondo la Cassazione, “l’obbligo del committente, imprenditore concordante, di rettificare la detrazione IVA non assolta in sede di rivalsa quale effetto dell’omologazione del concordato preventivo nella misura in cui la rivalsa IVA non sia stata assolta, costituisce, nel rispetto del principio di neutralità dell’imposta, la contropartita dell’insorgenza del diritto del prestatore di esercitare la detrazione dell’imposta versata, diritto che insorge sin dal momento in cui risulti omologato il concordato preventivo”. Il committente, infatti, “perde sin dall'omologa della proposta concordataria – nella misura di soddisfacimento dei crediti chirografari prospettata con la proposta omologata – il diritto di far valere la rettifica oltre la percentuale indicata nella proposta omologata. Con l’omologa della proposta concordataria vi è, difatti, la ragionevole certezza che quel debito di rivalsa non sarà integralmente recuperato, se non nei limiti della percentuale indicata nella proposta omologata, la quale costituisce condizione di esercizio della detrazione”. Ciò non esclude, secondo la Cassazione, “che la percentuale di recuperabilità possa in concreto variare a seguito dell’andamento della liquidazione concordataria, posto che la proposta omologata si limita a indicare un impegno di soddisfacimento dei crediti. Ma questo comporterà un mutamento ulteriore della detrazione (rispetto alla proposta omologata), in riduzione (in caso di liquidazione non performante) ovvero in aumento (in caso di liquidazione più che performante rispetto alla proposta omologata), al fine di consentire un costante adeguamento dell’esercizio della detrazione al peso dell’imposta che andrà definitivamente a gravare sul soggetto inciso (prestatore)”. Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione arriva alla conclusione che “in caso di concordato preventivo omologato non è sufficiente per il committente, al fine dell’esercizio della detrazione, la mera ricezione della fattura (emessa per l’intero importo dell’imponibile), perché il committente non consentirà al prestatore il recupero del credito di rivalsa, se non nei limiti della proposta concordataria, il cui soddisfacimento costituisce limite e condizione di esercizio della detrazione. Viene, quindi, anticipata al momento dell’omologazione del concordato la modifica della base imponibile su cui calcolare la detrazione che, solitamente, consegue alla registrazione delle note di variazione (rettifica) da parte del prestatore. Sicché, sin dall'omologa della proposta concordataria, non è più sufficiente ai fini della detrazione, la mera registrazione della fattura di acquisto come per i soggetti IVA in bonis, dovendosi tenere conto di quanto il committente riverserà al prestatore sulla base della proposta omologa”. Ne consegue che, “stante la ragionevole certezza del mancato integrale pagamento del credito da rivalsa IVA, il committente in concordato preventivo non può che portare a credito l’IVA conseguente all'esercizio della detrazione nei limiti di quanto assolto in sede di rivalsa sulle fatture di acquisto ricevute, in conformità di quanto risulti dalla proposta concordataria omologata e non secondo quanto indicato nelle fatture ricevute dai prestatori”. Se così non fosse, infatti, “la procedura concorsuale otterrebbe dall'Erario (per effetto dell’esercizio della detrazione a fondamento della domanda di rimborso del credito IVA) più di quanto l’Erario riceverebbe dall'operazione imponibile”, e ciò in quanto “il committente insolvente, da un lato, non soddisferebbe integralmente l’IVA in rivalsa (se non nella misura indicata nella proposta o in quella consentita dal riparto), e, dall'altro, porterebbe integralmente in detrazione l’importo dell’IVA indicato in fattura (benché non assolta)”.