Legittimazione – Istanza di fallimento – Accertamento del credito

2 Settembre 2021


La Corte d’appello dell'Aquila, con la sentenza n. 641 del 29 aprile 2020 (decisa nella camera di consiglio del 24 aprile 2020 tenuta mediante videoconferenza ai sensi dell’art. 83 d.l. 18/2020) si è espressa in merito alla legittimazione a presentare istanza di fallimento da parte di un creditore che vantava un credito nei confronti dell’imprenditore non accertato giudizialmente né sottoposto a parere dell'ordine professionale, che era stato contestato mediante denunce in sede penale ed esposti all'organo di disciplina professionale.

Nel dettaglio, una società, unitamente ai due soci illimitatamente responsabili, aveva presentato reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento del Tribunale di primo grado su ricorso di un Avvocato, dichiaratosi creditore di euro 143.577,49 per varie prestazioni professionali rese in favore della società, rilevando:

  • che la contestazione del credito dell’istante era generica a fronte della attività defensionale prestata in n. 9 procedimenti presso diverse Autorità Giudiziarie per conto della debitrice;
  • che la situazione patrimoniale prodotta dalla stessa debitrice evidenziava, oltre alla insussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all' 1, comma 2, l.f., una "gravissima situazione debitoria, con un patrimonio netto negativo di € 817.000,00 circa e un attivo patrimoniale crollato in due anni da quasi 5 milioni a 881.000,00 E. circa";
  • che dalla istruttoria prefallimentare erano emersi debiti scaduti "verso enti pubblici" complessivi € 373.000,00 circa;
  • che l'ammontare di debiti scaduti - oltre ad essere superiore ad € 30.000,00 - rendeva evidente, unitamente alla insussistenza di ogni serio tentativo di adempimento ed alla mancanza di flussi finanziari idonei ad estinguere con mezzi ordinari le obbligazioni contratte, la sussistenza dello stato di insolvenza della società.

La società, unitamente ai soci illimitatamente responsabili, ha proposto reclamo, con il quale ha chiesto la revoca della dichiarazione di fallimento, censurando la sentenza per i seguenti motivi:

  • il difetto di legittimazione attiva del ricorrente, il cui credito, non accertato giudizialmente né sottoposto a parere dell'ordine professionale, era stato contestato mediante denunce in sede penale ed esposti all'organo di disciplina professionale;
  • la necessità di valutare lo stato di insolvenza secondo i criteri esclusivamente patrimoniali applicati dalla giurisprudenza alle imprese in liquidazione, giacché "la società si trova in uno stato di liquidazione di fatto non operando più sul mercato"; in questa prospettiva, le esposizioni debitorie nei confronti del sistema bancario dovrebbero essere rideterminate secondo le risultanze di alcune consulenze tecniche espletate nei giudizi in corso, che, all'esito del ricalcolo dei saldi dei conti di alcuni rapporti bancari, evidenziano, oltre a minori debiti della società, crediti della stessa;
  • i debiti tributari e contributivi sono stati ridotti a seguito di richiesta di adesione alla cd. Rottamazione-ter;
  • gli immobili di proprietà personale dei soci - alcuni dei quali gravati da ipoteche e già pignorati - sarebbero ampiamente capienti rispetto ai crediti ipotecari derivanti da tre mutui contratti dalla società, tenuto anche conto che in relazione ad alcuni di essi erano state promosse azioni di nullità ancora in corso;
  • la Procura di Teramo ha sospeso i termini di scadenza degli adempimenti amministrativi e per il pagamento dei ratei dei mutui bancari ed ipotecari, nonché di ogni altro atto esecutivo nei confronti dei due soci ai sensi dell' 20 L. 44/1999 fino al 29/01/2020.

Il ricorrente ha invece chiesto il rigetto del reclamo, evidenziando la genericità della contestazione del proprio credito, dimostrato dalla documentazione relativa alle attività professionali prestate, nonché la inapplicabilità di criteri esclusivamente patrimoniali per la valutazione dell'insolvenza e comunque la insufficienza del patrimonio della società e dei soci rispetto al complessivo ammontare delle obbligazioni sociali.

La Corte ha ritenuto che il reclamo non meriti accoglimento per le seguenti motivazioni.

In merito alla carenza di legittimazione ex art. 6 l.f., la Corte, tenendo conto dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, ha affermato che: “la domanda di fallimento rappresenta un'azione a contenuto meramente processuale, rispetto alla quale l'accertamento del credito si pone come incidentale ai fini della legittimazione al ricorso, la quale spetta a qualsiasi soggetto che vanti un credito nei confronti dell'imprenditore, non necessariamente certo, liquido, esigibile, ma anche non ancora scaduto o condizionale, non ancora munito di titolo esecutivo, purché idoneo, in prospettiva, a giustificare un'azione esecutiva e che deve essere oggetto di mera delibazione incidentale del giudice fallimentare (Cass. SU 1521/2013; Cass. 11421/2014; 576/2015; 15346/2016; 23420/2016)”.

La Corte ha poi affermato la sussistenza della legittimazione del ricorrente-reclamato a chiedere il fallimento della reclamante, essendovi ampia e chiara evidenza documentale delle numerose prestazioni professionali svolte in favore della società qui reclamante, esitate anche in provvedimenti giudiziali contenenti la liquidazione delle spese processuali, aggiungendo che lo svolgimento di tali prestazioni non è stato contestato dai reclamanti, i quali si sono limitati ad allegare genericamente inadempimenti del professionista, la cui effettiva sussistenza e rilevanza non è possibile apprezzare in questa sede in termini tali da condurre alla negazione del diritto del professionista alla retribuzione della propria pluriennale attività.

Con riferimento al provvedimento di sospensione dei termini dei pagamenti ex art. 20 legge 44/1999 prodotto dai reclamanti, la Corte ha rilevato come tale provvedimento concerne le obbligazioni personali dei soci e non quelle contratte dalla società, oltre al fatto che: “detta sospensione non incide sull'ammissibilità del procedimento per la dichiarazione di fallimento, il quale non ha natura esecutiva, ma cognitiva, in quanto, prima della dichiarazione di fallimento, non può dirsi iniziata l'esecuzione collettiva (per tutte Cass. ord. 22787/2019), né determina la temporanea inesigibilità di crediti diversi da quelli cui si riferisce (quali quelli della snc del cui fallimento qui si discute), in relazione ai quali ultimi trovano applicazione le regole ordinarie, che svincolano il giudizio sullo stato d'insolvenza dalle relative cause, correlandolo ad una valutazione globale della situazione economico-patrimoniale del debitore (Cass. 22756/2012; 1582/2017). In altri termini, la moratoria ex lege, avente come effetto l'inesigibilità temporanea di determinati crediti, risulta inidonea ad incidere sull'accertamento dello stato d'insolvenza salvo che non sia dimostrata (ciò che nella specie non è avvenuto), da un lato, la sua applicabilità al credito dell'istante e, dall'altro, la capacità della società dichiarata fallita di fare fronte con mezzi normali all'adempimento delle obbligazioni non colpite dalla misura in questione”.

Per quanto riguarda l’esame della sussistenza o meno dello stato di insolvenza della società, la Corte ha rivelato che: “l'orientamento giurisprudenziale secondo cui rileva unicamente accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'uguale ed integrale soddisfacimento dei creditori si applica in caso di liquidazione effettiva della società e non anche quando, come nella specie, la compagine societaria sia rimasta inattiva di fatto, senza assumere alcuna iniziativa formale per uscire dal mercato, nel qual caso l'analisi deve avere riguardo invece alla sola capacità dell'impresa di adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni”.

La sentenza ha poi proseguito sostenendo che l'insolvenza da accertare è quella della società e non dei soci e che tale accertamento va, quindi, condotto con esclusivo riferimento al patrimonio (ed alla situazione economica e finanziaria) della società e non anche a quello dei soci illimitatamente responsabili, richiamando il principio secondo cui: “ai fini della dichiarazione di fallimento, l'accertamento dello stato d'insolvenza di una società di persone va condotto unicamente in relazione al patrimonio sociale e non pure ai singoli patrimoni dei soci, i quali non costituiscono componenti del patrimonio sociale, a meno che non siano stati espressamente oggetto di conferimenti (si vedano, ad esempio, Cass. 6852/1992; 1122/1997; 5924/2016, la quale ultima in motivazione ribadisce che, stante "il carattere meramente consequenziale e dipendente del fallimento del socio rispetto a quello della società, ai fini della dichiarazione di fallimento assume decisività unicamente lo stato d'insolvenza della società, indipendentemente dalla sussistenza o meno dello stato d'insolvenza personale del socio"). Ed invero il coinvolgimento nel fallimento della società dei patrimoni dei soci si realizza solo in conseguenza del fallimento degli stessi soci (illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali), fallimento che costituisce un inderogabile effetto di quello della società e che prescinde, pertanto, dallo stato di insolvenza personale dei soci”.

Infine, la Corte d’Appello, prendendo atto che il patrimonio sociale risulta palesemente insufficiente a garantire la soddisfazione delle obbligazioni sociali e che la società reclamante ha da tempo cessato l'attività di impresa, e che pertanto alla incapienza del patrimonio sociale, si deve aggiungere la insussistenza di qualsiasi prospettiva reddituale futura idonea anche solo ad ipotizzare il conseguimento di risorse sufficienti alla regolare soddisfazione delle obbligazioni, sia pure nei ristretti limiti quantitativi che gli stessi reclamanti hanno riconosciuto, per tutte le motivazioni sopra esposte, ha rigettato il reclamo.

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