La Suprema Corte con l’importante sentenza n. 25896, depositata il 16 novembre 2020, ha sancito la non necessarietà della fine della procedura fallimentare per poter emettere la nota di variazione Iva e la non necessarietà dell’emissione della nota di credito, a fronte di procedure concorsuali infruttuose, qualora sia stato il cessionario stesso a rettificare la detrazione, eliminando la perdita di gettito per l’Erario. La vicenda, posta all’attenzione della Cassazione, riguardava una cooperativa a r.l. che non aveva versato l’iva dichiarata. Raggiunta da cartella di pagamento la società controbatteva affermando che l’iva non versata era relativa alle fatture emesse nei confronti di altra società e che tali fatture risultavano non pagate. La società debitrice (una S.r.l.) in seguito veniva dichiarata fallita e nel corso del giudizio veniva disposto dal Tribunale la chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo, ragion per cui il credito chirografario rimaneva insoddisfatto. La Corte ha accolto il ricorso della ricorrente contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale. Si ripercorrono i principali passaggi della sentenza in commento. “In realtà, quanto alle procedure concorsuali, alla luce della giurisprudenza unionale l'applicabilità dell'art. 26 del d.P.R. n. 633/72 non necessita della certezza dell'irrecuperabilità derivante dall'infruttuosità della procedura. La Corte di giustizia (con sentenza 23 novembre 2017, causa C-246/16, Di Maura), con riferimento giustappunto alla normativa italiana, ha difatti stabilito che l'art. 11, parte C, par. 1, comma 2, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell'iva all'infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni. Si costringerebbero altrimenti gli imprenditori italiani a sopportare, nei casi di mancato pagamento di una fattura, uno svantaggio in termini di liquidità rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri, idoneo a compromettere l'obiettivo di armonizzazione fiscale perseguito dalla sesta direttiva.” “[…] Per accordare il diritto alla riduzione della base imponibile, allora, è sufficiente che il soggetto passivo evidenzi l'esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell'ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque (punto 27 della sentenza Di Maura). E ciò proprio perché la certezza della definitiva irrecuperabilità del credito può essere acquisita, in pratica, solo dopo una decina di anni, a causa della durata, in Italia, delle procedure fallimentari. Spetta quindi alle autorità nazionali stabilire, nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del mancato pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità della vicenda”. “[…] Il ricorso va per conseguenza accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: "In tema di iva, è illegittima la pretesa del fisco di ottenere l'imposta dal cedente o dal prestatore che non abbia fatto ricorso al meccanismo previsto dall'art. 26 del d.P.R. n. 633/72 per mancato pagamento a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, qualora questo meccanismo sia stato utilizzato dal cessionario o committente, e sia stato eliminato in tempo utile il rischio di perdita di gettito per l’erario".