Il Tribunale di Brescia, con la sentenza n. 49 del 16 marzo 2020, si è espresso in merito al termine per la proposizione del ricorso per la risoluzione del concordato preventivo. Passando alla trattazione della sentenza in fatto e in diritto, un creditore privilegiato ex art. 2751 bis, n. 5, c.c., con ricorso depositato il 23 maggio 2019, ha chiesto al tribunale di pronunciare la risoluzione del concordato preventivo della società debitrice, omologato con decreto depositato l’8 giugno 2015. L’istante, a sostegno della propria richiesta, ha sostenuto che, nonostante lo spirare della data indicativamente fissata per la completa esecuzione del piano (31 dicembre 2016), lo stesso sia rimasto gravemente inattuato (essendo stato eseguito un solo riparto parziale con pagamento soltanto di parte dei crediti prededucibili e di quelli privilegiati ex art. 2751 bis, n. 1, c.c.), posto che se da un lato si dovrebbero considerare concluse le operazioni di liquidazione c.d. interna ivi previste, dall’altro risulterebbero invece del tutto paralizzate quelle di liquidazione c.d. esterna. Fissata la comparizione degli istanti e della debitrice davanti al giudice delegato alla trattazione, la resistente si è costituita eccependo la violazione del termine annuale di decadenza di cui all’art. 186, c. III, L.F., nonché l’infondatezza della domanda di risoluzione e fallimento. Con la sentenza in esame, il tribunale ha affermato che le domande proposte sono fondate e meritano accoglimento, ricordando che il concordato proposto ha natura liquidatoria e si poggia sulla cessione di una serie di attività sociali (di cui è avvenuta la cessione) oltreché sull’acquisizione di un importante volume di finanza terza derivante dalla liquidazione di beni, e che è proprio con riguardo a quest’ultima dimensione di liquidazione esterne che il piano proposto dalla resistente è rimasto gravemente inadempiuto. La sentenza continua affermando che l’eccezione di decadenza opposta da parte resistente risulta infondata; infatti, sebbene l’art. 186, comma 3, L.F. stabilisca che il ricorso per la risoluzione debba proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato, “detta disposizione debba essere interpretata, come osservato dalla giurisprudenza di legittimità (seppur in riferimento della disciplina – omologa – del concordato fallimentare) nel senso che ove il termine in questione non sia stato fissato in modo tassativo esso decorre dall’esaurimento delle operazioni di liquidazione che si compiono non soltanto con la vendita dei beni, ma anche con gli effettivi pagamenti (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 20.12.2012, n. 27666). Del resto, un’interpretazione di tal fatta appare ancor più corretta se sol si consideri che il legislatore, all’art. 186 L.F., ha voluto utilizzare proprio la generica espressione “adempimento” e non già quella specifica di “pagamento”.”. Nel caso di specie, quindi, il giudice stabilisce che il termine annuale non sia ancora spirato, “posto che trattandosi di un concordato liquidatorio i termini di adempimento del piano non possono che qualificarsi come “mere prospettazioni” non potendosi certo trascurare che tali termini dovranno necessariamente confrontarsi con l’andamento dei mercati, delle vendite e dunque con elementi esogeni ed incontrollabili ex ante. Ne discende che risultando pacificamente non conclusi, allo stato, gli adempimenti previsti dal piano proposto a suo tempo da […], non è ancora iniziato a decorrere il termine annuale di cui all’art. 186, c. III, L.F.”.