Nell’ambito di una procedura di concordato preventivo incardinata da una società esercente la produzione e la fornitura di energia elettrica, in cui la proposta concordataria veniva omologata dal Tribunale di Milano, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli lamentava il trattamento del credito dalla stessa vantato a titolo di accise dovute sul corrispettivo delle forniture effettuate dalla debitrice in favore dei consumatori finali. Tale doglianza veniva fatta valere in sede di opposizione all’omologa, e poi, in sede di reclamo avverso il decreto di omologa: in entrambi i casi, le istanze dell’opponente venivano rigettate.
L’Agenzia delle Dogane proponeva dunque ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 57 c. 2 T.U.A. per aver la società limitato l’applicazione di tale norma alle somme non ancora riscosse alla data di apertura della procedura concorsuale, senza invece ricomprendere anche le somme anteriormente pagate dai clienti per il consumo di energia.
L’art. 57 T.U.A. prevede, al comma 2, che “Il credito dell'amministrazione finanziaria per l'imposta ha privilegio, a preferenza di ogni altro, sulle somme dovute dagli utenti per i consumi soggetti ad imposta”. Trattasi di privilegio speciale che, in quanto tale, in sede concordataria, può essere oggetto di pagamento non integrale solo se, in caso di liquidazione, la sua collocazione preferenziale non consenta l’adempimento integrale dell’obbligazione (art. 160 L.F.), avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Ove il credito privilegiato non venga soddisfatto per l’intero, è dunque prevista la relazione di cui all’art. 160. c 2 L.F.
Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto: “il privilegio speciale previsto dall’art. 57, comma secondo, del d.lgs. n. 504 del 1995 in favore del credito dell’Amministrazione finanziaria per l’accisa dovuta dal fornitore di energia elettrica sul corrispettivo delle forniture effettuate in favore dei consumatori finali ha ad oggetto esclusivamente le somme da questi ultimi dovute per crediti non ancora riscossi, e non si estende a quelle percepite in data anteriore a quella di apertura della procedura esecutiva o concorsuale”.
L’iter argomentativo della Corte di Cassazione muove le basi dalla valorizzazione del dato letterale della norma, che fa riferimento alle “somme dovute” dagli utenti per i consumi soggetti ad imposta. È infatti affermato che la disposizione “lascia chiaramente intendere che deve trattarsi di importi non ancora riscossi al momento dell’apertura della procedura esecutiva o concorsuale” e che “diversamente, infatti, il legislatore avrebbe fatto specifico riferimento anche alle somme percepite dal venditore a titolo di corrispettivo per le forniture effettuate in favore dei consumatori finali, o, più genericamente, ai corrispettivi di queste ultime”.
Trattandosi di privilegio speciale, la Suprema Corte affronta anche il tema della specifica individuazione del bene ai fini dell’esercizio dello stesso: il bene su cui grava il privilegio in questione è infatti costituito da importi monetari, in quanto tali fungibili, sicché si pone la tematica della confusione delle somme già riscosse con il patrimonio della società. Se, ad avviso dell’Agenzia delle Dogane, tale fenomeno sarebbe superabile, essendo i flussi di denaro perfettamente tracciabili, a diversa conclusione giunge la Suprema Corte: secondo quest’ultima, infatti, le somme, “una volta corrisposte dai consumatori, entrano a far parte del patrimonio del fornitore e si confondono con quelle ivi esistenti, con la conseguente impossibilità di distinguerle dalle altre, nell’ambito della liquidità complessivamente disponibile per la soddisfazione dei creditori”, ritenendo insufficiente il riferimento all’importo dei crediti per le forniture per cui le somme sono state corrisposte sul rilievo per cui “estendendo l’ambito di applicazione della prelazione potenzialmente a tutte le somme di denaro presenti nel patrimonio del debitore, comporterebbe la trasformazione del privilegio da speciale in generale”. La Corte di Cassazione rileva inoltre che, laddove si consentisse l’esercizio del privilegio di cui all’art. 57 c. 2 T.U.A. su tutte le somme di denaro presenti nel patrimonio del debitore, verrebbe consentita l’alterazione delle legittime cause di prelazione, con ripercussioni sull’art. 160 L.F. in ordine alla formazione delle classi ed al trattamento interno alle stesse.
La Corte riconosce come l’esclusione dell’applicabilità del privilegio speciale alle somme già riscosse dal fornitore comporti una maggiore difficoltà nell’esercizio del privilegio stesso, richiamando in tal senso l’analoga situazione che si verifica nell’esercizio del privilegio speciale ex artt. 2758 e 2772 c.c. a favore del credito di rivalsa Iva in caso di cessione di beni mobili, laddove oggetto della cessione siano beni non consumabili o energie non più rinvenibili nel patrimonio del debitore. La Corte rileva, tuttavia, che per il superamento della questione sia necessario l’intervento del Legislatore, affinché sia posto rimedio alla disparità di trattamento che in questi casi si determina rispetto ad altre categorie di creditori aventi analogo privilegio speciale su beni la cui persistenza nel patrimonio del debitore consente il concreto esercizio della prelazione.
Con l’ordinanza in esame la Suprema Corte conferma dunque la natura speciale del privilegio accordato dall’art. 57 c.2 T.U.A. ed afferma la riferibilità di tale privilegio alle sole somme non ancora riscosse alla data di apertura della procedura concorsuale, rimettendo necessariamente al Legislatore ogni opportuno bilanciamento in ordine alle concrete possibilità di soddisfacimento che questo privilegio consente, rispetto ad altre categorie di privilegi speciali.