La Suprema Corte di cassazione enuncia due principi di diritto a seguito di un ricorso proposto da una società avverso un decreto di inammissibilità di una domanda di rivendica di beni mobili. La domanda di rivendica di beni mobili era stata dichiarata inammissibile dal Giudice Delegato al fallimento in quanto depositata oltre il termine previsto dall’art. 101, comma 1, L.Fall. A tal riguardo, il Tribunale, ha ritenuto non rilevante la circostanza che la Società avesse precedentemente presentato un’istanza di restituzione dei beni in ordine alla quale il Giudice Delegato non si era pronunciato, sul rilievo che all’indomani della proposizione della domanda, il curatore aveva provveduto a inventariare quegli stessi beni. La Cassazione accoglie il ricorso muovendo dalla lettera dell'art. 87-bis, comma 2, l. fall. affermando che:“In primo luogo perché l’art. 87 bis l. fall., nel prevedere al suo secondo comma che i beni di cui è stata chiesta la restituzione in via breve “possono non essere inclusi nell’inventario” , esclude che l’istanza possa essere esaminata ed accolta solo se i beni in questione non sono stati inventariati: la loro inclusione nell’ inventario non costituisce, dunque, fatto dal quale possa desumersi in maniera inequivoca e definitiva la mancanza del necessario consenso (alla restituzione) del curatore”. Prosegue la Corte rilevando “In secondo luogo perché il giudice delegato è tenuto in ogni caso a pronunciare sull’istanza, dopo aver acquisito formalmente il parere del curatore, non essendo contemplata dal nostro ordinamento una sorta di “presunzione implicita” di rigetto della domanda avanzata da una parte: l’inerzia serbata dal giudice nell’emissione del provvedimento dovuto non può pertanto risolversi in danno della parte medesima, imputando alla stessa il ritardo accumulato da colui che avrebbe dovuto assumere la decisione