Caratteri Generali L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è l’istituto, previsto nel ordinamento dal diritto fallimentare, che riguarda la grande impresa commerciale insolvente “con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali” (art.1 D.lgs. 270/1999). La ratio di tale previsione si rinviene nell’esigenza di creare una procedura concorsuale idonea a conciliare interessi differenti: il soddisfacimento dei creditori dell’imprenditore insolvente, da un lato, e il salvataggio del complesso produttivo in crisi e la conservazione di posti di lavoro, dall’altro. Lo scopo è quello di evitare soluzioni liquidatorie che non tengano conto dei rilevanti interessi, privati e pubblici, alla conservazione e al risanamento dell’impresa. Excursus Legislativo L’istituto in esame trova la sua prima definizione nel nostro ordinamento con il D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito nella legge 3 aprile 1979, n. 95, c.d. “Legge Prodi”, a causa della crisi di importanti gruppi industriali italiani, che ha spinto il legislatore a varare l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Negli anni successivi alla sua entrata in vigore ci si è resi conto tuttavia, che non solo tale procedura non tutelava adeguatamente i creditori, ma aveva finito col favorire la permanenza in vita di aziende prive di qualsiasi prospettiva di una futura ripresa, determinando effetti distorsivi della concorrenza tali da indurre la Commissione europea ad avviare un procedimento di infrazione nei confronti dell’Italia, volto ad ottenere una rivisitazione dell’istituto. Nel 1999, per il perdurare di contrasti con l’ordinamento comunitario (Cfr. C. giust. CE, 1-12-1998, C- 200/97), è stata introdotta con il D.lgs. n. 270 dell’8 luglio 1999 (in forza della Legge delega n. 274 del 3 luglio 1988) noto anche come Legge Prodi – bis, la “nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria” che abrogava quella previgente. Nel tempo si sono susseguiti numerosi altri interventi che hanno recato modifiche alla disciplina base dell’amministrazione straordinaria per adattarla alle specificità di dissesti di grandi gruppi (si pensi, ad esempio, al c.d. Decreto Marzano, poi convertito nella legge 18-2-2004, n.39, che ha introdotto una speciale procedura per le imprese di maggiori dimensioni dopo lo scoppio della crisi del gruppo “Parmalat”). Struttura della procedura L’attuale amministrazione straordinaria, così come innovata dalla Legge Prodi – bis sopra menzionata, si atteggia come una procedura “bifasica” nel contempo giudiziaria e amministrativa, articolata in due subfasi: la prima che inizia con la sentenza dichiarativa dello stato d’insolvenza, devoluta all’autorità giudiziaria; e l’eventuale successiva apertura della procedura di amministrazione straordinaria vera e propria subordinata all’accertamento delle “concrete possibilità di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali” (art. 27 D.lgs 270/99), anch’essa devoluta all’autorità giudiziaria. È invece prerogativa del Ministero dello Sviluppo economico (autorità amministrativa) la gestione della procedura attraverso, come si dirà di seguito, la nomina di un commissario straordinario. Presupposti per l’accesso alla procedura Affinché un’azienda possa accedere alla procedura di amministrazione straordinaria deve possedere una serie di requisiti, soggettivi e oggettivi a norma degli articoli 2 e 27 del Legge Prodi-bis. Deve trattarsi innanzitutto di un’impresa commerciale, esercitata anche in forma individuale, soggetta a fallimento. Si escludono, pertanto, dal novero delle imprese che possono usufruire di tale strumento le imprese agricole. Le imprese, appena definite, devono avere le seguenti caratteristiche: In aggiunta ai requisiti occupazionali e di indebitamento, devono sussistere: 3. Stato d’insolvenza; 4. “Concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico”. Si ricorda che l’accertamento di quest’ultima condizione avviene dopo la dichiarazione dello stato d’insolvenza e quindi, nella seconda fase della procedura. La dichiarazione di insolvenza e i suoi effetti La prima fase della procedura di amministrazione straordinaria è tesa ad accertare lo stato di insolvenza, e in presenza dei requisiti dimensionali e occupazionali, sopra descritti, il tribunale deve astenersi dal dichiarare il fallimento e deve emettere una sentenza dichiarativa dello stato d’insolvenza. La competenza spetta al “tribunale competente ai sensi dell’articolo 27, comma 1 del codice della crisi e dell’insolvenza” (art. 3 D.lgs 270/99, così come modificato dal nuovo Codice della crisi) che non è nient’altro che il tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede principale. Con la sentenza dichiarativa dello stato d’insolvenza il tribunale nomina il giudice delegato e uno o tre commissari giudiziali (su indicazione del Ministero dello sviluppo economico), nonché si dà avvio al procedimento per la formazione dello stato passivo, che avviene secondo le regole proprie del fallimento. Tuttavia gli effetti della dichiarazione dello stato d’insolvenza appaiono molto più simili a quelli propri dell’ammissione al concordato preventivo che a quelli del fallimento. L’imprenditore, infatti conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’attività d’impresa con le limitazioni previste per il concordato preventivo e sotto la supervisione del commissario giudiziale. L’effetto fondamentale della dichiarazione di insolvenza è rappresentato dall’apertura di una fase successiva, di natura diagnostica, subordinata alla verifica delle “concrete possibilità di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali”. L’accertamento, secondo quanto prescritto dall’art. 27 D.lgs 270/99, in tema di condizioni per l’ammissione alla procedura, può essere realizzato attraverso due programmi alternativi: Questa fase, che rappresenta il perno dell’intera procedura, è quindi caratterizzata da un vero e proprio giudizio prognostico sulle possibilità di sopravvivenza dell’impresa. Se tale valutazione ha esito positivo si avrà la vera e propria apertura della procedura di amministrazione straordinaria, in caso contrario, al tribunale non resterà che dichiarare il fallimento. In questa fase è di primaria importanza il ruolo del commissario giudiziale il quale è chiamato a redigere e depositare in cancelleria, entro 30 giorni dalla dichiarazione d’insolvenza, una relazione contenente una motivata valutazione circa l’esistenza delle condizioni previste dall’articolo 27 D.lgs 270/99, sopra elencate. La relazione è trasmessa ai creditori e al Ministero dello Sviluppo Economico, che esprime parere non vincolante (art. 28). Depositata la relazione, il tribunale assume le sue determinazioni entro 30 giorni, tenuto conto del parere del Ministero e delle eventuali osservazioni dell’imprenditore, dei creditori e di ogni interessato. Apertura dell’Amministrazione straordinaria All’esito dell’iter appena analizzato, il Tribunale, verificata la sussistenza dei presupposti per la prosecuzione, dichiara, con decreto motivato, aperta la procedura di amministrazione straordinaria. Il decreto è sottoposto ad un regime di pubblicità e di comunicazione ai sensi dell’art. 30 D.lgs. 270/99 e può essere oggetto di opposizione da parte del debitore, dei creditori o di qualunque interessato entro 15 giorni dalla data di comunicazione o affissione. In caso contrario, sempre con decreto, il tribunale dichiara il fallimento. E’ importante sottolineare che con l’apertura dell’amministrazione straordinaria si passa dalla fase propriamente giudiziaria, a quella di natura amministrativa “gestita” dal Ministero dello Sviluppo economico, il quale è tenuto ad un’attività di controllo sullo svolgimento della procedura. Entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto che dichiara aperta la procedura, il Ministro dello Sviluppo economico nomina, con le nuove modalità entrate in vigore nel 2018 (Direttiva Ministero dello Sviluppo economico 19 luglio 2018), uno o tre commissari straordinari. La scelta di nominare tre commissari è limitata “ai casi di eccezionale rilevanza e complessità della procedura” (art.38 D.lgs 270/99). Al commissario straordinario spetta la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente, nonché degli eventuali soci a responsabilità illimitata ammessi alla procedura. L’amministrazione avviene, come ricordato, sotto il controllo del Mise, il quale secondo quanto previsto dall’articolo 42 del D.lgs 270/99, deve autorizzare gli atti di maggior rilievo: Il Mise nomina, inoltre, un comitato di sorveglianza composto da tre o cinque membri, tra cui rispettivamente, uno o due creditori chirografari ed esperti in materia concorsuale o in materie aziendali. L’organo svolge una funzione consultiva ed è chiamato a pronunciarsi con pareri sugli atti del commissario, nei casi previsti dalla legge e ogni qual volta il Ministero lo ritenga opportuno (art. 46 D.lgs 270/99). Quanto agli effetti dell’apertura dell’amministrazione straordinaria si possono riassumere come segue: Si segnala, inoltre che l’accertamento del passivo, a norma dell’articolo 50 D.lgs 270/99, prosegue in base alle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato d’insolvenza secondo il procedimento previsto dall’articolo 93 (“Domanda di ammissione al passivo) e seguenti della Legge Fallimentare, con il commissario straordinario che subentra al curatore. Svolgimento della procedura Dal lato operativo, con l’apertura della procedura il commissario straordinario nominato deve attuare il programma di recupero, che ribadiamo, può essere alternativamente un programma di cessione dei complessi aziendali da realizzare entro un anno o un programma di ristrutturazione da attuare entro due anni. Esso deve essere predisposto entro 60 giorni dall’apertura della procedura dal commissario straordinario che lo presenta al Ministero dello Sviluppo economico. Il procedimento previsto ex lege non entra nello specifico delle modalità applicative, ma contiene specifiche indicazioni procedurali, applicabili ad entrambe le ipotesi di programma per la soluzione della crisi. Infatti, il programma dovrà essere redatto “sotto la vigilanza del Mise ed in conformità degli indirizzi di politica industriali dal medesimo adottati, in modo da salvaguardare l’unità operativa dei complessi aziendali, tenuto conto degli interessi dei creditori” (art. 55 D.lgs. 270/99). Per quanto attiene al programma di cessione, che avvia una fase di liquidazione destinata a soddisfare i creditori con il ricavato delle cessioni, è necessario ricordare che esso deve indicare le “modalità della cessione, segnalando le offerte pervenute od acquisite, nonché le previsioni in ordine alla soddisfazione dei creditori” (art. 56 D.lgs 270/99). L’obiettivo del programma di ristrutturazione è quello di soddisfare i creditori per il tramite del risanamento dell’impresa. Dalla lettura combinata degli articoli 27 e 56 D.lgs 270/99 si ricavano i confini sia temporali che di concreta attuazione del programma, prevedendo che il risanamento non debba avere durata superiore a due anni e debba indicare ”i tempi e le modalità di soddisfazione dei creditori, nonché le eventuali previsioni di ricapitalizzazione dell’impresa e di mutamento degli assetti proprietari”. L’esecuzione dei programmi è autorizzata dal Mise entro 30 giorni dalla presentazione, sentito il Comitato di sorveglianza, ed è modificabile nel corso della procedura. Come sopra ricordato, i debiti contratti dal commissario durante l’esercizio dell’impresa sono debiti da soddisfare in prededuzione, per cui al fine di evitare la chiusura dei canali di finanziamento bancario è prevista, ai sensi dell’articolo 95 D.lgs 270/99 la concessione della garanzia dello Stato a favore delle banche che erogano finanziamenti “per la gestione corrente e per la riattivazione ed il completamento di impianti, immobili ed attrezzature industriali”. Non vi è chi non veda, che anche il peso di questi debiti finisca per gravare sui creditori anteriori: lo Stato infatti agisce come garante delle banche e pertanto una volta attivata tale garanzia, diverrà a sua volta creditore di massa della procedura. Nell’attuale formulazione della disciplina dell’amministrazione straordinaria è regolata anche la ripartizione dell’attivo. Tale ripartizione prevede due forme di distribuzione: gli acconti e riparti. Ai sensi dell’articolo 68 D.lgs 270/99 gli acconti possono essere distribuiti dal commissario straordinario in qualsiasi momento della procedura, previo parere del comitato di sorveglianza e autorizzazione del giudice delegato, ai creditori o solo ad alcune categorie di essi. I riparti, invece, possono essere disposti solo dopo che lo stato passivo è stato reso esecutivo e si applica la disciplina prevista dalla legge fallimentare (artt. 110 e ss L.F.). In caso di programma di cessione, qualora questo venga completato integralmente e residuano attività da liquidare o somme da recuperare, il tribunale, d’ufficio o su richiesta del commissario straordinario, dichiara con decreto la cessazione dell’esercizio dell’impresa. Da tale momento svanisce la funzione conservativa propria dell’amministrazione straordinaria e diventa una mera procedura concorsuale liquidatoria. Chiusura della procedura L’amministrazione straordinaria termina o con la chiusura della procedura ai sensi dell’articolo 74 D.lgs. 270/99 o per conversione in fallimento. Tale conversione viene disposta nel corso della procedura quando risulta che la stessa non può essere “utilmente proseguita” (art. 69 D.lgs 270/99) oppure quando, alla scadenza del programma di cessione o di ristrutturazione, rispettivamente, la cessione non sia ancora avvenuta in tutto o in parte, o l’imprenditore non abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (sia uscito dallo stato d’insolvenza). Viene disposta ai sensi dell’articolo 71 D.lgs 270/99 dal tribunale con decreto motivato, d’ufficio o su richiesta del commissario straordinario, sentiti il Ministro dello sviluppo economico, il comitato di sorveglianza e l’imprenditore. La chiusura della procedura, di contro, viene disposta su istanza del commissario straordinario, del creditore o d’ufficio, dal tribunale con decreto motivato reclamabile in corte d’appello e avviene, secondo quanto disposto dall’articolo 74, nei seguenti casi: In particolare, laddove il programma abbia come finalità la cessione dei beni aziendali, la chiusura della procedura si può realizzare se i crediti ammessi sono stati soddisfatti o estinti in altro modo, ovvero quando si è realizzata la ripartizione finale dell’attivo. La dichiarazione di chiusura non esclude però che vi sia una successiva riapertura della procedura, così come previsto dall’articolo 77 D.lgs 270/99, che fissa in cinque anni il termine entro il quale la riapertura può avvenire. Tale possibilità può essere attivata su istanza del debitore, o di qualunque creditore nell’eventualità che vi siano le condizioni che la rendano opportuna, ossia nel caso in cui l’insolvente sia in grado di soddisfare i propri debitori nella misura di almeno il 10%. La sentenza di riapertura, però, non comporta la ripresa della procedura di amministrazione straordinaria, ma la sua conversione in fallimento.