In data 9 luglio 2020 la II Commissione permanente Giustizia ha dato parere favorevole con osservazioni allo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 recante codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (di seguito per brevità il “Schema di Decreto Correttivo”). L’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza si sta rivelando un traguardo tutt’altro che semplice e lineare. Sin dall’origine, l’elaborazione della riforma dell’attuale legge fallimentare affidata alla Commissione Rordorf ha manifestato una complessità innata: è sotto gli occhi di tutti che si tratta di un ramo del diritto connotato dall’intreccio di molteplici e confliggenti interessi che sollevano diversi problemi non solo giuridici, ma anche e soprattutto economici e che devono trovare un equilibrio nel testo legislativo. Si passa dall’interesse dell’imprenditore di tutelare la propria attività a quello pubblico di sanzionare le condotte delittuose, dall’interesse dell’Amministrazione finanziaria alla tassazione all’interesse dei creditori al pagamento delle proprie pretese creditorie. L’entrata in vigore del D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 era subordinata – tranne che per un numero limitato di disposizioni - al decorso di diciotto mesi dalla data di pubblicazione del testo in Gazzetta Ufficiale e, nelle more, è scoppiata la pandemia di Covid – 19, in seguito alla quale il Governo con il D.L. 8 aprile 2020, n. 23 convertito con Legge 5 giugno 2020, n. 40 ha posticipato l’entrata in vigore al 1° settembre 2021. Se già di per sé il testo normativo presentava delle criticità alle quali lo Schema di Decreto Correttivo ha tentato di ovviare, ad oggi l’intera struttura del codice della crisi è a rischio a causa dei nuovi scenari economici e finanziari che la diffusione del virus ha innescato. Nel panorama descritto si presenta il lavoro della Commissione Giustizia del 9 luglio 2020. Tra le varie proposte di modifica in questa sede si vuole concentrare l’attenzione sull’integrazione relativa all’art. 84 CCII e, segnatamente, al comma 3 che definendo il concetto di continuità aziendale stabilisce che il concordato preventivo è in continuità quando i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino. La norma prosegue introducendo una presunzione di prevalenza iuris et de iure, la quale ricorre laddove i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d’impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso. La disposizione, che tende a sopperire alle mancanze dell’attuale legge fallimentare, ha il pregio di fornire, da un lato, la definizione di continuità aziendale e, dall’altro, di indicare la disciplina applicabile al concordato preventivo misto, il cui piano presenta elementi riconducibili sia al concordato liquidatorio sia a quello in continuità. A tale disposizione la Commissione propone (i) l’introduzione di un’ulteriore presunzione relativa di sussistenza della prevalenza e cioè “quando la maggior parte dei flussi derivanti da dismissioni di carattere liquidatorio viene destinata al servizio della continuità aziendale”, (ii) e di trasformare in relativa la presunzione già prevista dall’art. 84, co. 3, CCII concernente il requisito occupazionale. La proposta della Commissione Giustizia, quindi, tende ad ampliare l’accesso al concordato preventivo in continuità e a favorire il debitore che può godere di una disciplina più favorevole rispetto a quella prevista per il concordato liquidatorio. In particolare, secondo la proposta della Commissione, al concordato si applica la disciplina della continuità aziendale quando il piano che contenga anche la liquidazione degli asset preveda i relativi introiti vengano utilizzati a sostegno della continuità aziendale. Ne discende che, ancora una volta, l’intento è quello di “puntare” sulla continuità aziendale mediante l’utilizzo di un criterio non di natura formalistica basato su un mero calcolo, ma piuttosto su di un criterio di tipo sostanziale che miri a salvaguardare l’azienda e a sostenere il mercato.