La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11883 del 18 giugno 2020, si è espressa in merito ai presupposti di ammissibilità al passivo fallimentare del credito dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione per gli oneri di riscossione e di esecuzione (aggio) previsti dall’art. 17, comma 1, D.lgs. 112/1999. Nel caso di specie, il Tribunale di Cagliari aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo presentata da Equitalia S.p.A. (ora Agenzia delle Entrate-Riscossione), che si era vista escludere dal passivo di un fallimento l’importo di Euro 989.807,63 a titolo di aggi coattivi. Tra le motivazioni della sentenza, il Tribunale contestava ad Equitalia, in particolare, il fatto di non aver “offerto, in sede istruttoria, alcun elemento probatorio idoneo a dimostrare l’avvenuta notificazione delle cartelle, con conseguente mancata soddisfazione dell’onere della prova posto a suo carico e con l’ulteriore conseguenza della mancata dimostrazione dei fatti costitutivi del credito e della sua entità, al fine dell’ammissione dello stesso allo stato passivo”, in quanto, ad avviso del giudice dell’opposizione, “la natura concorsuale del credito, concernente l’aggio, debba essere esclusa laddove l’attività di esazione del credito erariale da parte dell’agente della riscossione abbia avuto inizio dopo la dichiarazione di fallimento, posto che, per il principio di cristallizzazione del passivo, i diritti di credito – i cui elementi costitutivi non siano integralmente realizzati anteriormente alla predetta dichiarazione – sono inopponibili alla procedura concorsuale e dunque non possono essere ammessi al passivo”. Successivamente, Equitalia impugnava tale decreto con ricorso in cassazione affidato, in particolare, alle seguenti motivazioni: In merito alla prima motivazione, nella sentenza la Corte di Cassazione richiama la consolidata giurisprudenza (cfr. Cass. 9370/2015; Cass. 6646/2013) “secondo la quale è necessario tenere ben distinta l’esistenza del credito tributario – che sorge in relazione ai diversi anni d’imposta quando si realizza il relativo presupposto impositivo (credito certamente preesistente alla dichiarazione di fallimento) – e l’attività di esazione di detto credito a seguito del mancato pagamento”. Prosegue la Cassazione illustrando l’iter dell’attività di esazione, affermando che “il concessionario – una volta ricevuto il ruolo formato dall’amministrazione finanziaria (che costituisce il titolo esecutivo) – proceda sulla base di esso alla notifica della cartella esattoriale, equiparabile al precetto, con cui chiede al contribuente il pagamento delle somme portate dal ruolo. In caso poi, di mancato pagamento, l’esattore procede alla esecuzione in via coattiva espressamente disciplinata dalla normativa tributaria”. Ne consegue che “è solo in virtù dello svolgimento della predetta attività di riscossione e di eventuale esecuzione che all’esattore compete un aggio sulle somme riscosse”. Infatti, ad avviso della Cassazione, “se tale attività viene iniziata e svolta prima della dichiarazione di fallimento, sia pure con la sola notifica della cartella di pagamento, non è dubbio che all’esattore competa l’aggio di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17”. Al contrario, nel caso “in cui l’attività di esazione abbia avuto inizio dopo la dichiarazione di fallimento, l’aggio che compete per lo svolgimento di detta attività non riveste natura concorsuale in virtù del principio generale della cristallizzazione operata dalla dichiarazione di fallimento sulla situazione del passivo dell’imprenditore, che comporta che i diritti i cui elementi costitutivi non si siano integralmente realizzati anteriormente alla detta dichiarazione, trattandosi di crediti non ancora sorti, sono estranei alla procedura concorsuale ed ad essa inopponibili (cfr., sempre Cass. 6646/2013, cit. supra; e comunque v. anche Cass. 3216/12; Cass. 8765/11; Cass. 11953/03)”. Tale principio, secondo la Cassazione, “riveste carattere prevalente rispetto alla normativa tributaria e quest’ultima, del resto, non si pone in contrapposizione con esso”. Difatti, ad avviso della Corte l’art. 17 del D.Lgs. n. 112 del 1999 prevede che “la percentuale sull’aggio a carico del debitore è da questi dovuta soltanto nel caso in cui questi non effetti il pagamento nei termini di legge previsti dopo la notifica della cartella di pagamento (cfr. sempre Cass. 6646/2013, cit. supra)” e, considerato che il curatore fallimentare non può effettuare il pagamento nei termini previsti nella cartella, “se ne deduce che non può comunque farsi carico alla procedura del pagamento della percentuale dell’aggio risultando questo a carico dell’amministrazione finanziaria”. La Corte di Cassazione arriva quindi a riaffermare il principio “secondo cui, nel caso, in cui all’attività di esazione abbia avuto inizio dopo la dichiarazione di fallimento, l’aggio che compete per lo svolgimento di detta attività non riveste natura concorsuale in virtù del principio generale della cristallizzazione operata dalla dichiarazione di fallimento sulla situazione del passivo dell’imprenditore, che comporta che i diritti i cui elementi costitutivi non si siano integralmente realizzati anteriormente alla detta dichiarazione. Se, al contrario, l’attività di esazione viene iniziata e svolta prima della dichiarazione di fallimento, sia pure con la sola notifica della cartella di pagamento, non è dubbio che all’esattore competa l’aggio di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 112 del 1999, con la necessità, tuttavia, che il concessionario alla riscossione dimostri l’esistenza del fatto costituivo del suo diritto di credito relativo all’aggio attraverso la prova della notificazione della cartella di pagamento prima della dichiarazione di fallimento”. Passando alla seconda motivazione, la Corte richiama l’orientamento secondo cui “il concessionario del servizio di riscossione dei tributi può domandare l’ammissione al passivo dei crediti tributari maturati nei confronti del fallito sulla base del ruolo, senza che occorra anche la previa notificazione della cartella esattoriale, ed anzi sulla base del solo estratto, in ragione del processo di informatizzazione dell’amministrazione finanziaria che, comportando la smaterializzazione del ruolo, rende indisponibile un documento cartaceo, imponendo la sostituzione con una stampa dei dati riguardanti la partita di riscuotere”, ne consegue che “gli estratti del ruolo […] hanno piena efficacia probatoria ove il curatore non contesti la loro conformità all’originale (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 16112 del 14/06/2019; n. 311190 del 2017, v. anche Cass. 14332/2019)”. Ad avviso della Cassazione, tuttavia, “da tale pacifico principio non si può far derivare il principio della sufficienza della produzione del ruolo (ovvero dell’estratto) ai fini dell’ammissione allo stato passivo anche del credito per l’aggio, giacché il ruolo è sufficiente per l’ammissione allo stato passivo del credito tributario ovvero previdenziale perché è la legge (art. 87, cit.) che espressamente lo prevede e non certo perché dal ruolo (ovvero dall’estratto di ruolo) possa evincersi la data della notifica della cartella di pagamento. Se così è, allora risulta evidente come il concessionario alla riscossione sia tenuto a dimostrare – mediante la produzione delle relate di notifica – che le cartelle di pagamento siano state notificate anteriormente al fallimento, perché solo in quel caso il relativo credito riveste natura concorsuale”. Per tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. Per approfondimenti: http://www.froglabdev.it/crisi/pdf/aggio-ammissione-al-passivo-presupposti/