Le "esequie" del concordato preventivo

2 Marzo 2020


Con il nuovo codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza il Legislatore ha inteso privilegiare lo strumento del concordato preventivo in continuità rispetto alla soluzione liquidatoria.
Scorrendo la nuova legge, emerge chiaramente l’intento legislativo di promuovere il salvataggio dell’impresa in crisi consentendole di rimanere all’interno del circuito produttivo.
Ciò è evidente a partire dalla grande novità introdotta dal CCII che ha introdotto le procedure d’allerta, le quali avrebbero lo scopo di anticipare l’emersione dello stato d’insolvenza e cercare di evitare che l’imprenditore si ritrovi in uno stato di crisi irreversibile e sia costretto ad accedere ad una procedura concorsuale.
Prima di affrontare la disamina degli aspetti della nuova disciplina, che lasciano presupporre un favor del Legislatore per la continuità aziendale, anche nella scelta della tipologia di concordato preventivo da perseguire, si evidenzia come già il legislatore con le modifiche apportate alla legge fallimentare, aveva introdotto delle limitazioni alla procedura del concordato liquidatorio, introducendo la percentuale minima del 20% di soddisfacimento dei creditori chirografari ed eliminando il silenzio assenso in sede di adunanza dei creditori per le votazioni del concordato.
La disciplina del concordato preventivo contenuta nell’attuale legge fallimentare è stata integrata di alcuni articoli che nei fatti segneranno la “fine” del concordato preventivo.
Occorre preliminarmente dare atto che la disciplina del concordato preventivo nel nuovo codice della crisi risulta suddivisa in due parti.
Gli artt. 44 – 48 CCII regolano la procedura di accesso sia al concordato preventivo sia al giudizio per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione.
Si tratta della disciplina comune ai due istituti inserita nella sezione relativa al “Procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
Mentre, gli artt. 84 – 120 CCII, contenuti nel Capo III, disciplinano in modo più completo e analitico la procedura per addivenire all’omologazione del concordato preventivo.
Con riferimento alle prime disposizioni, si segnalano due novità rilevanti che, rispetto alla normativa contenuta nella legge fallimentare, sembrano deporre nel senso di un disincentivo nell’utilizzo del piano concordatario come strumento di risoluzione della crisi.
Si tratta, in primis, delle tempistiche relative al c.d. concordato “in bianco”. Ai sensi dell’art. 44, co. 1, lett. a) CCII quando il debitore presenta domanda di concordato con riserva, il tribunale fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi e in assenza di domanda per l’apertura della liquidazione giudiziale, fino ad ulteriori sessanta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l’attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione (…).
Nell’attuale disciplina come disposto del vigente art. 160, co. 6, l.fall., il termine per la presentazione del piano, della proposta e della documentazione prescritta dalla legge può essere compreso tra i sessanta e i centoventi giorni, prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.
Nel nuovo codice i tempi sono drasticamente ristretti e richiedono una notevole celerità da parte del debitore e dei professionisti coinvolti nella redazione del piano.
La realizzazione di un piano concordatario, anche liquidatorio, ma soprattutto in continuità necessità di un’analisi particolareggiata degli aspetti economico finanziari e patrimoniali della società in crisi. Questa attività necessita obbligatoriamente di una tempistica fisiologica minima ben poco conciliante con quanto al previsto al riguardo dalla riforma del CCII.
Tuttavia, è chiaro l’intento del Legislatore che con l’introduzione di tempistiche ristrette mira a fermare la strumentalizzazione dell’uso del concordato preventivo, anche per il tramite dell’utilizzo del cosiddetto concordato “in bianco”, al solo fine di impedire l’aggressione del ceto creditorio e ritardare la dichiarazione di fallimento della società.
In secondo luogo, mentre ad oggi il tribunale competente per dichiarare l’ammissione alla procedura, a seguito del deposito del piano e della proposta di concordato, si limita a verificare la sussistenza di presupposti di natura prettamente giuridica (artt. 160, co. 1,2 e 161 l.fall. richiamati dal combinato disposto degli artt. 162 e 163 l.fall.), con l’avvento del nuovo codice il tribunale deve valutarne oltre all’ammissibilità della proposta anche la fattibilità economica.
Passando all’esame della seconda parte di disciplina riservata al concordato preventivo emerge quanto segue.
Dalla lettura dell’art. 84 CCII, rubricato “Finalità del concordato preventivo” salta subito all’occhio che tre commi su quattro sono dedicati alla disciplina del concordato preventivo in continuità, mentre solo l’ultimo comma è dedicato al concordato preventivo con finalità liquidatorie. Nel rifacimento della nuova normativa, il Legislatore ha colto l’occasione per introdurre alcune puntualizzazioni rispetto al testo della legge fallimentare. Si tratta, in particolare, delle previsioni relative alla continuità indiretta (art. 84, co. 2, CCII) e al concordato c.d. misto (art. 84, co. 3, CCII).
Mentre con riguardo all’istituto del concordato preventivo in forma liquidatoria diverse sono le limitazioni introdotte dal Legislatore.
Innanzitutto, risulta ammissibile, secondo quanto previsto dall’art. 84, co. 4, CCII, solo ed esclusivamente a condizione che venga previsto nel piano un apporto di risorse esterne idoneo a incrementare di almeno il dieci per cento il soddisfacimento dei creditori chirografari rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.
Rimane l’obbligo del soddisfacimento dei creditori chirografari in misura non inferiore al venti per cento dell’ammontare complessivo del credito chirografario.
Altra importante novità in merito all’esecuzione del piano concordatario liquidatorio, riguarda l’obbligo del nominato liquidatore giudiziale ad esperire le azioni di responsabilità ai sensi dell’art. 115, co. 1 CCII.
Il risultato che questa riforma il legislatore presume che abbia è pertanto evidente: il disincentivo all’utilizzo del concordato preventivo tout court.
Unica possibilità di ampliamento dei termini risulta essere l’utilizzo della procedura concordataria tramite l’Organismo di Composizione della Crisi (OCRI) che prevede inoltre anche delle misure premiali di cui all’art. 25 CCII per l’organo amministrativo (poche) e l’organo di controllo (ampie) di cui all’art. 14 co. 3 CCII.
Chi vorrà comunque servirsi ancora di questo strumento di risanamento dell’impresa, che tanto è stato utilizzato negli ultimi quindici anni, dovrà avere a disposizione costantemente i dati contabili e previsionali, in modo da poterne usufruire tempestivamente anche in caso di crisi. Peraltro la disponibilità di queste informazioni e la pianificazione dell’attività aziendale è stata codificata modificando ad hoc l’art. 2086 del Codice Civile che la “impone” proporzionalmente alle dimensioni dell’impresa.

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